Liturgia COME COMPORTARSI
La chiesa è "casa di Dio", e quindi dei suoi figli. Comportati dignitosamente nel luogo sacro, e abbine cura. Quando vi entri, spegni, per favore, il cellulare. Fa' bene il segno della Croce con l'acqua benedetta, che ti ricorda il tuo Battesimo: quel sacramento ti ha "lavato" l'anima e ti ha fatto cristiano, cioè figlio di Dio. Entrato in chiesa, saluta Colui che ti ospita, il tuo Signore; poi vengono la Madonna ed i Santi. C'è un altare, dove si conserva l'Eucaristia, segnalato da una lampada accesa, simbolo della tua fede; inginocchiati, per adorare Gesù Cristo presente; se vi passi davanti, fai genuflessione, piegando il ginocchio fino a terra. Certi modi di vestire non sono consoni al "tempio dello Spirito Santo" che è il tuo corpo (cfr. l Cor 6,19) e alla casa di Dio, dove sei entrato. In ogni caso, distingui l'abbigliamento adatto per la chiesa da quello per i giardini pubblici o per la spiaggia. Sii puntuale alle celebrazioni e non "fuggire" prima del congedo.
Nel partecipare alla preghiera comune: - unisci la tua voce, senza gridare, - non precipitare, - va' a "tempo", pregando con gli altri.
Nella Bibbia (Sal. 8,3; Mt21,16) leggiamo: "Dalla bocca dei bambini e dei lattanti (o Dio) ti sei procurato una lode". È bene portare i piccoli in chiesa, per educarli alla preghiera; tuttavia sorvegliali perché non disturbino. Ai più grandicelli insegna a non masticare, in chiesa, gomme o caramelle. Accendendo una candela, accendi il tuo cuore con la fede e con la preghiera. Se è indispensabile parlare, fallo sottovoce. La casa di Dio deve essere un'oasi di religioso silenzio: non è un luogo qualunque o, peggio, un mercato. Se ti confessi approfitta dell'attesa per pregare e per fare il tuo "esame di coscienza". Fa' il possibile per tenere distinto il tempo della tua Confessione e quello in cui partecipi alla S. Messa.
COME PARTECIPARE ALLA S. MESSA
Si sta seduti: - Durante le letture, escluso il Vangelo; - all'omelia; - mentre vengono presentati il pane e il vino fino all'invito "Pregate fratelli..."; - dopo la Comunione, in attesa della preghiera di finale.
Ci si inchina: - durante il Credo, alle parole "e per opera dello Spirito Santo si è fatto uomo"
Si sta in ginocchio (se è possibile): - durante la consacrazione e l'elevazione, fino a "Mistero della fede"; - per qualche minuto, subito dopo aver ricevuto l'Eucaristia.
Si sta in piedi - negli altri momenti.
Il "segno della pace" è un gesto simbolico; basta scambiarlo con le persone che hai accanto, senza lasciare il proprio posto. Cerca soprattutto di avere il cuore "riconciliato" .
COME ACCOSTARSI ALLA COMUNIONE EUCARISTICA
Te lo dice l'apostolo Paolo (l Cor 11,27-29): "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso... " . Preparati pertanto in tutto il tuo essere:
Nella tua coscienza: Se, dopo l'ultima Confessione, fatta bene, sai di aver commesso anche un solo peccato grave, non basta il pentimento sincero per poterti degnamente comunicare; devi prima confessarti al sacerdote. Ricorda: meglio una Comunione di meno che una Comunione indegna;
e nel corpo: - Presentati vestito/a in modo adatto; - avendo evitato qualunque cibo o bevanda (eccetto l'acqua e le medicine) per almeno un'ora prima della Comunione; - e con le mani pulite (specialmente se ricevi sulla mano la sacra particola).
Riguardo al modo di comunicarti: - Ravviva in te lo stupore per la presenza di Gesù e l'amore, pieno di venerazione, per il suo santo Corpo e Sangue, germe della tua futura immortalità. - Puoi ricevere l'ostia consacrata sulla lingua o sulla mano. Se scegli questo secondo modo comportati così: * ci si presenta al ministro con la mano sinistra stesa sopra la destra e con il palmo delle mani rivolto verso l'alto (liberi da qualsiasi oggetto); * quando il ministro dice: "Il Corpo di Cristo, si risponde: Amen; * dopo che il ministro ha deposto sul palmo della mano la sacra particola, davanti a lui, o appena spostati di lato si porta l'ostia alla bocca, prendendola delicatamente con le dita della mano destra; * infine si torna al proprio posto e ci si raccoglie in adorazione e ringraziamento. |
Conoscere meglio la Domenica
PERCHE’ LA DOMENICA E’ COSI’ IMPORTANTE PER I CRISTIANI
-Ma che bisogno c’è di andare a messa? -Se sto un po’ di tempo in compagnia di un malato, non è meglio? -Che differenza fa ad andarci di domenica o un altro giorno? -Che differenza fa pregare in un posto qualunque o celebrare in chiesa? -Dio non è dappertutto e ovunque? Allora perché solo un giorno, in un luogo? Chiunque abbia già sentito domande come queste e simili ad esse dovrebbe avere, insieme alla propria fede cristiana e alla coerenza nel testimoniarla, anche qualche argomento convincente per rispondere a queste domande. Queste poche pagine sono state prese durante la catechesi per gli adulti svolta presso una parrocchia. Si ispirano in parte al capitolo 2 del sussidio “Celebrare e vivere il giorno del Signore”. C’è un punto nella storia, essenziale per capire tutto quanto accaduto prima e dopo: è il periodo abitato da Gesù, in Palestina. La differenza tra le idee e la storia è che le idee si pensano e la storia accade davvero. Gesù per i cristiani è Dio, pur essendo vero uomo. Un mistero sconcertante, che ha messo in difficoltà persino i discepoli che hanno condiviso con Gesù i tre anni più straordinari della storia, dalla fine del 27 d.C., all’aprile-maggio del 30 d.C. Gesù è anche uomo con popolo, cultura, indirizzo e calendario. Gesù è un ebreo e non si vergogna di esserlo. Viene come Messia atteso dal popolo prescelto da Dio, che aveva nelle sacre scritture la Legge e i profeti. Gesù studia la Bibbia, la conosce profondamente, stupisce i rabbini, parla di se stesso attingendo ai profeti, citando spesso l’antico testamento: Gesù fa tutto questo accettando la cultura di Israele, facendosi circoncidere e poi battezzare, recandosi al tempio, celebrando la pasqua secondo Israele. Verrà condannato dagli Ebrei per essersi dichiarato Figlio dell’uomo (citazione da Daniele), non difeso da Erode per essersi dichiarato re in strano modo, tradito da alcuni dei suoi per non aver combattuto i romani, da altri che non accettarono la sua apparente debolezza nelle mani dell’invasore che lo uccide per ragioni politiche (Pilato). Gesù, nato a Betlemme nel 6-7 a.C., muore crocifisso probabilmente il venerdì 7 aprile del 30 d.C. alle 15, prima della Pasqua ebraica (sabato). Risorge alle prime luci dopo la Pasqua (domenica), creando sconcerto persino tra i suoi, ai quali l’aveva più volte annunciato. Gesù parlò spesso del sabato, talora scontrandosi con i farisei, altre volte associandosi al popolo nel celebrare la festività ebraica, senza scadere in una pratica legalistica. Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Gesù è libero nei confronti del sabato (le spighe raccolte nel giorno di sabato, la guarigione dell’uomo dalla mano inaridita, quella della donna curva, dell’idropico, del paralitico e del cieco nato). Gesù guarisce (sia nel corpo che nei peccati) provocatoriamente soprattutto di sabato, allargandone il senso agli esclusi, perché tutti partecipino della comunione con Dio, riportando all’integrità originaria i corpi dei malati, di chi non può far festa, di chi non esprime la perfezione del creato contemplato da Dio. Quello di Gesù è il sabato escatologico e Gesù è il Signore del sabato. Come Dio è creatore, ma liberando dal male il Figlio è Co-creatore, Redentore e Salvatore. Gesù si recò al tempio, piangendone la decadenza, lamentandone la trasformazione in “spelonca di ladri”, ma non ordinò di non andarci, ne’ di non pagare la tassa per il tempio… Non basta conoscere le scritture e offrire sacrifici senza una fede viva e la capacità di sorprendersi di Dio, invece di ingabbiarlo nei nostri schemi. Pochi giorni dopo la Resurrezione l’altro fatto straordinario del maggio del 30 d.C., cinquanta giorni dopo la Pasqua ebraica (un sabato), Pentecoste, ancora il primo giorno della settimana. Il manipolo di discepoli ebrei spaventati e confusi del sabato santo, gli increduli della domenica mattina della risurrezione, scoprono in Gesù risorto la verità di quanto Egli aveva predicato. Lo scoprono dallo spezzare del pane, facendo come era stato loro insegnato, rivivendo le Sue parole come i discepoli di Emmaus, memoria dell’ultima cena. Ma soprattutto su queste cose sfavilla la luce del risorto! GESU’ E’ VIVO! E’ RISORTO ! Quando? All’alba di domenica. Questa è la fede cristiana: FESTA del risorto, il giorno nuovo, la vita eterna, Dio vivo e presente, la speranza che illumina la sofferenza, l’ingiustizia e la morte, pur senza levarle di torno. Non si commemora la memoria di un lutto, non si fa tesoro della saggezza del Maestro, non si venera un uomo bravo, ma si annuncia e incontra IL RISORTO VIVO! Per i primi cristiani, tutti giudei, è la festa del primo giorno dopo il sabato, il primo della settimana. Così viene definita dai vangeli, da tutti e quattro gli evangelisti negli episodi pasquali. La Pentecoste cade nel primo giorno della settimana. Già nell’Apocalisse, scritto pochi anni dopo, diventa il “giorno del Signore” (Ap. 1,10). Negli Atti degli apostoli (20,7) si racconta delle assemblee di ascolto della Parola (era veramente un ascolto, perché non c’erano scritti, ma racconti orali dei testimoni delle parole di Gesù e dei fatti successi oppure dei sempre più numerosi loro discepoli, formati secondo rigorosi cammini), preghiera, frazione del pane e carità. Sono i prodromi della nostramessa. Ne troviamo traccia anche nella Didachè, una specie di primo catechismo.Nei primi tempi cristiani il primo giorno della settimana è lavorativo: le assemblee si riunivano prestissimo o al sabato sera. Già alla fine del I sec. si parla di Giorno del Signore o di ottavo giorno. Per i pagani è il giorno del sole, ancora oggi sunday-sonntag. Non era un festivo. Giustino (siamo nel primo secolo dopo Cristo) racconta di assemblee, letture, sermoni, preghiere, pane, vino, acqua, distribuzione, offerte, aiuto ai bisognosi. Plinio il giovane, nipote del “vecchio” peritonell’eruzione di Pompei, dice che si riunivano prima del sorgere del sole, in un giorno stabilito, cantando a cori alterni per Cristo, visto biblicamente come “sole che sorge”. Non c’è ancora la “domenica”, ma comincia a somigliare alla nostra. Evoluzione del nome: primo giorno dopo il sabato primo giorno della settimana giorno del Signore giorno del sole ottavo giorno giorno della risurrezione domenica Gesù non taglia con il sabato che rimanda alla fine della creazione. La religione ebraica rivela una fede del tempo e non del tempio: il sabato ne è la cattedrale! La fede santifica il tempo e la vita, luogo di comunione tra uomo e Dio, prima dei luoghi dove può avvenire. Se Israele ha avuto un tempio è perché ha avuto il sabato! Si dice che non è stato tanto Israele a custodire il sabato, quanto il sabato a custodire Israele… Oggi i nostri vescovi dicono che se custodiremo la domenica, la domenica custodirà noi! Per Israele il tempo non è uniforme ma ha un ritmo (riposo/lavoro), non ritaglia uno spazio sacro nel profano, ma orienta tutto il tempo alla sua pienezza di senso, dandogli un ritmo di raccoglimento e distensione, strettamente collegato con l’esodo, la liberazione dalla schiavitù. Se il Sinai è il luogo sacro, il sabato è la memoria del tempo salvifico. Con il riposo e la festa l’uomo (vertice della creazione e alleato di Dio) entra in contatto con la Gloria di Dio creatore (Genesi 2,1-3) e salvatore. Dio creatore si ferma a contemplare: anche per Lui quello non è un giorno come gli altri! L’opera trova senso proprio quando cessa, indicandone la meta nella comunione con Dio. Dal rimando storico si va a quello escatologico: liberi dalla fatica del lavoro (creazione), dal giogo del nemico (esodo) si va verso il compimento della storia, di ciascuno e di tutti. Nella risurrezione di Gesù si compiono i 3 significati del sabato ebraico. Il Giorno del Signore opera un trapasso: dal riposo al culto, ad un grazie festoso, nell’Eucaristia. La messa l’originale mistero dell’unità di un culto fatto presenza. Il Risorto è lì con noi, porta di accesso alla Pasqua. Tanto quanto la nostra fede cristiana è una fede pasquale, tanto più avrà senso la nostra domenica. <pstyle="text-align: justify; padding: 0cm;">La fede dei cristiani è speranza distesa nel tempo. Adorare Dio in “spirito e verità” non significa banalizzare il giorno (la domenica), il luogo (la Chiesa) e i riti (la messa), ma recuperarne in pieno il senso che danno alla nostra vita. Un rapporto personale con Dio non significa un individualismo senza mediazione, dove si fa quello che si vuole, quando si vuole, fino a fare ciò che si vuole di Dio. Invece, al contrario, imparare a riscoprire la fede nel Risorto scandisce il tempo della vita e lo abita di fede. La messa vivifica questo tempo nella comunità dei credenti raccolti attorno a Gesù e alla catena ininterrotta di testimoni formati alla sua Parola. Non ciascuno secondo libere interpretazioni, né in modalità che possono (non è sempre così, ma può accadere) piegarsi alle esigenze di un ritagliarsi solo ciò che fa più comodo, con la scusa di essere “più veri e autentici”. La domenica è il giorno della risurrezione, giorno del Signore, giorno del sole, pienezza della vita, dalla creazione al ritorno di Cristo. I nomi originali della domenica la radicano in un dato storico e in una sua attualità. I primi nomi della domenica saranno “dies dominicae resurrectionis” e “dominicum” (che indicava anche l’Eucaristia): una memoria della passione e una presenza per la Chiesa che ascolta la parola, spezza il pane e accede alla singolarità dell’evento pasquale. I cristiani sono coloro che vivono secondo la domenica! La domenica è ottavo giorno, giorno senza sera. Inizio e fine, senso complessivo del tempo. Vi si entra con i sacramenti, primo il battesimo, celebrato in proiezione escatologica in fonti a otto lati Giustino scriveva che “noi ci raduniamo nel giorno del sole”. “La domenica è per noi il giorno di festa perché il Salvatore si è innalzato risplendendo come il sole, dopo aver dissipato le tenebre degli inferi nella luce della risurrezione. Perciò tale giorno presso i figli del secolo ha nome di giorno del sole, perché Cristo, sole di giustizia, risorgendo lo ha illuminato” (Massimo da Torino). LA NOSTRA FEDE E’ SPERANZA DISTESA NEL TEMPO: CON I SUOI LUOGHI E LA MESSA CHE CELEBRIAMO INSIEME Una vita senza senso, una società depressa e disperata o che spera nelle lotterie cercano una direzione, perché il tempo non scorra tutto uguale. Noi lo abbiamo, se sapessimo di averlo. DOMANDE PER RIFLETTERE La domenica per me e’ il primo giorno della settimana, il giorno del signore? Ho provato un po’ di meraviglia nell’apprendere quanto esposto nel corso di questa catechesi? O mi sembrano nozionismi? Ho colto l’originalita’ e la freschezza zampillante che racchiusi la domenica cristiana? Quanto avverto il pericolo dell’ignoranza nell’annunciare e testimoniare la fede? Quante parole spendo per raccomandare la partecipazione alle occasioni di studio e approfondimento offerte anche nella nostra comunita’? Il cristianesimo e’ religione “del tempo” prima che “del luogo”: che cosa mi rivela questa constatazione? Come organizzo la mia domenica? La messa in che punto sta del piano? Avverto il peso culturale che ha per la mia fede in cristo? Come vivo la mia presenza all’assemblea eucaristica? Da uno qualunque? Da invitato? Da protagonista? Ifratelli : mi disturbano/mi aiutano nel viver bene la messa? Che idea ho della comunita’ cristiana? Un concetto astratto? Un mio diritto/dovere? Un dono che ho? La alimento? Riesco a percepire e a vivere il significato dei vari momenti? Il perdono che mi accoglie, l’ascolto della parola, l’omelia, il credo, i doni, il miracolo della consacrazione, l’eucaristia, la benedizione, l’invio in pace a tutti? Dove non ci riesco, e’ perche’ non ho capito io o non capisco come lo propone la liturgia? Custodisco la domenica da uno stravolgimento di senso? So scegliere e testimoniare azioni coerenti con la messa? Quanto credo alla vita eterna? Quanto la domenica mi aiuta a riconsiderare tutto quello che vivo e che accade in una prospettiva che va oltre la morte? Che cosa resta il lunedi’ della messa domenicale? Ci penso? Ne parlo? O scivola via come una routine che mi riguarda molto superficialmente? Ritrovo in un ascolto che si fa presenza e annuncio di cristo, il senso del giorno della carita’ ? Rileggendo queste domande, qual’e’ il punto piu’ debole di senso per me? Perche’? Che cosa posso fare o posso chiedere per aiutarmi? |
Capire la Messa
LA MESSA Capiamo quello che facciamo ogni domenica (o quasi…) LA MESSA: la conosciamo? Ci sono tanti gesti che facciamo tutte le domeniche a Messa. Ma sappiamo che cosa vogliono dire? Oppure sono solo dei gesti che facciamo meccanicamente? Conosciamo il significato delle parole che diciamo e il perché le diciamo in un preciso momento? Se non sappiamo bene quello che facciamo… …CERCHIAMO DI DARE QUALCHE RISPOSTA Che significa MESSA? La liturgia eucaristica si chiama MESSA perché si conclude con l'invio ("missio" in latino) dei fedeli nel mondo per compiervi la volontà di Dio 2. Perché la MESSA è così importante per un cristiano? All'origine dell'Eucarestia c'è l'Ultima Cena di Gesù con i discepoli e il suo comando: "Fate questo in memoria di me“ (Lc 22,19; I Cor 11,24). Perché la MESSA è così importante per un cristiano? “Come la Chiesa fa l’Eucaristia, così l’Eucaristia costruisce la Chiesa; e questa verità è strettamente unita al mistero del Giovedì santo. La Chiesa è stata fondata, come comunità nuova del popolo di Dio, nella comunità apostolica di quei Dodici che, durante l’ultima cena, sono divenuti partecipi del Corpo e del Sangue del Signore sotto le specie del pane e del vino. Cristo aveva detto: «Prendete e mangiate…, prendete e bevete». Ed essi, adempiendo questo suo comando, sono entrati, per la prima volta, in comunione sacramentale con il Figlio di Dio, comunione che è pegno di vita eterna. Da quel momento sino alla fine dei secoli, la Chiesa si costruisce mediante la stessa comunione col Figlio di Dio, che è pegno di Pasqua eterna”. (Giovanni Paolo II) Come celebriamo la Messa Quattro sono i momenti fondamentali della celebrazione eucaristica: 1)Riti d'ingresso. 2)Liturgia della Parola. 3)Liturgia eucaristica. 4)Riti di congedo. I riti d’ingresso L'assemblea si raccoglie, prende forma e si unisce con il canto alla processione introitale del sacerdote che rappresenta il popolo di Dio in cammino verso Cristo. Il celebrante, giunto all'altare, simbolo di Cristo, lo bacia in segno di venerazione. SEGNO DI CROCE Nel Nome della Trinità santa e indivisa: è memoria e professione di fede battesimale di tutta l'assemblea. L'Amen dell'assemblea che lo sigilla è la conferma e l'accettazione da parte di tutto il popolo credente e vuol dire: "Sì! Credo che Cristo è tra noi. Ne sono certo!" IL SALUTO DEL CELEBRANTE esprime la presenza della Grazia: la comunione in Dio con i fratelli. La parola di saluto è accompagnata dal gesto delle mani e delle braccia che si allargano e si richiudono: segno d'accoglienza, di saluto, di pace offerta. E' inoltre annuncio del Signore presente. CONFESSO è l'invito a riflettere sulla propria vita e a chiedere perdono a Dio dei peccati commessi verificando se per caso non ci siano colpe mortali che impediscono, senza aver celebrato prima il sacramento della Riconciliazione, di accedere alla S. Comunione. GLORIA riscoperta la bontà e la misericordia del Signore, possiamo cantare con gioia l'inno iniziato dagli angeli la notte santa di Natale, che esprime adorazione, gioia, ringraziamento. COLLETTA il celebrante alza e allarga le braccia nel gesto universale dell'orante. Nella pausa di silenzio ogni fedele rivolge a Dio mente e cuore formulando le sue richieste. Poi il celebrante raccoglie - da cui il nome colletta (raccolta) dato all'orazione - i pensieri e i desideri di tutti. La Liturgia della Parola LETTURE BIBLICHE Dio, tramite la voce del lettore, istruisce il suo popolo con la sua Parola. Le esortazioni finali "Parola di Dio" indicano che Dio stesso ha parlato ai suoi. Per ascoltare la Parola bisogna creare il silenzio interiore. SALMO dopo aver ascoltato la lettura tratta dall'Antico Testamento, l'assemblea risponde con gioia pregando e lodando con il Salmo. I Salmi sono le preghiere che Dio ci ha consegnato attraverso gli scrittori da lui ispirati, affinché noi le utilizzassimo per pregarlo nella maniera più degna. È rispondere a Dio con la sua stessa Parola eterna, incorruttibile, posta sulle nostre labbra. Sarebbe una grande presunzione volerla sostituire con parole nostre che si disgregano col tempo. VANGELO è Cristo risorto che adesso parla al suo popolo. Il libro stesso e gli onori resi al testo del Vangelo (processione, incenso, ceri, bacio) indicano venerazione a realtà divine. Nella Parola di Dio si annuncia la divina alleanza, nuova ed eterna, che è riproposta nell'Eucaristia. Il Vangelo si ascolta in piedi e in profondo silenzio; è letto dal sacerdote (o diacono) perché è Gesù stesso che, rappresentato dal sacerdote, parla. Ci si segna sulla fronte, sulle labbra e sul cuore per esprimere il desiderio che la Parola pianti solide radici nell'intelligenza e nel cuore e le nostre labbra la proclamino; che sia custodita nella memoria, per parlare e amare come Gesù. OMELIA è la proclamazione, fatta con calore interiore, della Parola. Il silenzio che segue dà modo alla Parola proclamata di penetrare in profondità ed acquistare efficacia. SIMBOLO DELLA FEDE (CREDO) è la risposta corretta alla Parola ascoltata e segno di riconoscimento tra i credenti nell'unico Signore e Salvatore. Simbolo (dal greco "sunballo") è mettere insieme due pezzi combacianti di un unico coccio, segno di riconoscimento tra contraenti di un patto. PREGHIERA DEI FEDELI è la risposta del popolo cristiano al Signore che ha parlato e in cui abbiamo detto di credere. Chiamata anche "Preghiera universale" è una supplica per le necessità di tutto il mondo. Il popolo sacerdotale intercede per l'umanità intera, per implorare su di essa la benevolenza divina. La Liturgia Eucaristica La Liturgia Eucaristica è composta di tre momenti: A) la Preparazione dei doni B) La Preghiera eucaristica C) I Riti di comunione A) PREPARAZIONE DEI DONI Il pane e il vino che offriamo significano tutta la nostra vita (lavoro, pene, gioie, desiderio d'amare Dio e i fratelli) offerta in sacrificio al Signore. Così come il nostro obolo in denaro, o elemosina, è la partecipazione concreta ai bisogni della comunità parrocchiale e dei poveri. Infatti, non si può dire seriamente a Dio di amarlo, senza mostrare concretamente amore ai fratelli bisognosi. Nell'offerta dei doni affermiamo che tutto ciò che abbiamo è dono gratuito di Dio. Alcune gocce d'acqua nel vino sono segno della nostra unione con Cristo che ha voluto assumere la nostra natura umana. Il Signore Gesù nella Comunione ci trasformerà in lui, senza però annullare la nostra specificità personale. Il pane e il vino sono offerti e innalzati verso Dio dal celebrante. Nella consacrazione, lo Spirito Santo, invocato su questi doni, li trasformerà nel Cristo stesso. Lavanda delle mani: gesto di purificazione del sacerdote che esprime il desiderio d'essere meno indegno di celebrare l'Eucaristia. (“Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato”) Deposte le offerte sull’Altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la Preparazione dei Doni e si prelude alla Preghiera Eucaristica”. Per i Riti di Offertorio, quando non si usa l’incenso, l’assemblea rimane seduta sino all’orazione sulle offerte. La preghiera sulle offerte viene pronunciata a voce alta dal sacerdote, con le braccia allargate, a nome di tutta la comunità che, quindi, esprime la sua partecipazione stando in piedi e rispondendo “Amen”. Quindi anche se non è introdotta, come per la preghiera di colletta, dall’esortazione esplicita “preghiamo”, al suo inizio ci alziamo tutti in piedi: un modo semplice per esprimere nel gesto il comune sacerdozio battesimale. PREGHIERA EUCARISTICA Ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, vale a dire la Preghiera Eucaristica, cioè la preghiera di azione di grazie e di santificazione. La Preghiera Eucaristica si compone di otto parti… Vediamole una ad una L’AZIONE DI GRAZIE (È veramente cosa buona e giusta lodarti…) il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della Festa o del Tempo. 2. L’ACCLAMAZIONE (Santo, Santo, Santo…) tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo. Questa Acclamazione, che fa parte della Preghiera Eucaristica, è pronunziata da tutto il popolo con il sacerdote. 3. L’EPICLESI (invocazione dello Spirito Santo) (Manda, Signore, il tuo Spirito a santificare i doni…) la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno. 4. Il Racconto dell’Istituzione e la Consacrazione (Nella notte in cui fu tradito, Egli prese il pane…) È IL MOMENTO CULMINANTE DELLA MESSA. Mediante le parole e i gesti di Cristo si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il Suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare tale mistero. Il pane e il vino offerti diventano realmente il Corpo e il Sangue del Cristo stesso morto e risorto. Chi può si inginocchia in adorazione. 5. L’ANAMNESI (Mistero della fede. Annunciamo la Tua morte, Signore…) L'intera storia dell'umanità, una grande e lunga storia, è condensata in poche parole. La Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la Sua Beata Passione, la Gloriosa Risurrezione e l’Ascensione al cielo. 6. L’OFFERTORIO (Celebrando il memoriale del Tuo Figlio…TI offriamo, Padre in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo) Nel corso di questa stessa memoria la chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche imparino a offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti. 7. LE INTERCESSIONI (Guarda con amore e riconosci nell’offerta della Tua Chiesa…) In esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati alla salvezza acquistata per mezzo del Corpo e Sangue di Cristo. 8. LA DOSSOLOGIA FINALE (Per Cristo, con Cristo e in Cristo…) La preghiera eucaristica sfocia in una stupenda glorificazione del Padre per mezzo di Cristo, l'unico mediatore tra Dio e l'umanità, cui l'assemblea risponde "Amen". E' la solenne adesione di fede al Signore che dovrebbe essere gridato come gli urrà dei tifosi nello stadio. Tutto viene dal Padre attraverso Cristo e tutto è destinato a ritornare a lui per la medesima via. LA PREGHIERA EUCARISTICA ESIGE CHE TUTTI L’ASCOLTINO CON RISPETTO E IN SILENZIO E VI PARTECIPINO CON LE ACCLAMAZIONI PREVISTE NEL RITO. (Principi e norme per l’uso del Messale Romano, 55) C) RITI DI COMUNIONE Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. I Riti di Comunione si compongono di dieci parti… Vediamole una ad una Padre nostro L'assemblea si rivolge al Padre con gli stessi sentimenti di Cristo. Sono sette le richieste espresse, legate soprattutto alla necessità del cibo spirituale della Parola e dell'Eucaristia, che sostengono la nostra fedeltà nel rapporto con Dio. Embolismo (Liberaci, Signore da tutti i mali…) Sviluppando l’ultima domanda della preghiera del Signore, la richiesta di liberazione da ogni male, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male. Si conclude con la dossologia (Tuo è il Regno, Tua è la Potenza…) riconoscendo l’onnipotenza e la gloria di Dio Pace Gesù risorto, la sera di Pasqua, offre la pace agli apostoli come primo dono. Con il rito della pace i fedeli implorano la pace e l’unità per la Chiesa e per l’intera famiglia umana, ed esprimono fra di loro l’amore vicendevole, prima di partecipare all’unico pane. ( E’ opportuno che i fedeli si scambino la pace solo con chi si ha accanto in modo da non creare confusione.). Questo gesto è segno del nostro proposito di dimenticare qualsiasi rancore. Il gesto può essere considerato conclusione dell'atto penitenziale e risposta alla preghiera del Padre Nostro. Frazione del pane Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima Cena, sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica. Questo rito non ha soltanto una ragione pratica, ma significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1 Cor 10,17). Immixtio: Il celebrante mette nel calice una piccola porzione dell’ostia. Agnello di Dio Mentre si compiono la frazione del pane e l’immixtio, consapevoli della propria inadeguatezza e indegnità a comunicarsi del Signore, si chiede ancora perdono con l'invocazione ripetuta due volte. L’ultima invocazione termina con le parole dona a noi la pace. La preparazione personale del sacerdote Il celebrante si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio. Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo… Il sacerdote presenta l'Eucaristia ai fedeli e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con essi esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle parole del Vangelo, ricordando che solo il Signore toglie i peccati del mondo perché li ha presi su di sé inchiodandoli sulla croce. Per accedere all’Eucaristia bisogna essere in grazia di Dio (confessati quindi di recente), essere digiuni da almeno un'ora e consapevoli di chi si va a ricevere. Può essere accolta sulla mano, con il palmo cavo, dicendo "Amen" e inchinando il capo in segno di rispetto, e assumendola con devozione davanti al sacerdote. Infatti i doni si ricevono, non si prendono. Silenzio Dopo la comunione si lascia uno spazio di tempo in silenzio affinché in preghiera si possa assimilare, con riconoscenza, il dono ricevuto. Orazione dopo la comunione Il sacerdote raccoglie le suppliche e il ringraziamento dei fedeli e chiede che nella vita maturino i frutti del mistero celebrato. Il popolo fa sua l’orazione con l’acclamazione “Amen”.
I Riti di Congedo Saluto Come all'inizio il celebrante richiama la presenza del Signore, dono ricevuto, che ora i fedeli porteranno nel mondo. Benedizione Nel nome e con la benedizione della SS. Trinità siamo inviati a donare a tutti l'amore di Dio. In alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l’"orazione sul popolo" o con un’altra formula più solenne. Congedo Si scioglie l’assemblea, perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore. CONCLUDIAMO LA MESSA È FINITA ANDATE IN PACE IN REALTÀ LA MESSA CONTINUA LA TESTIMONIANZA DELLA VITA È STRETTAMENTE COLLEGATA ALL'EUCARISTIA PERCHÉ NON DIAMO QUALCOSA DI NOSTRO, MA COMUNICHIAMO IL DONO RICEVUTO: CRISTO MORTO E RISORTO PER LA NOSTRA SALVEZZA |
ELEMENTI DI PASTORALE LITURGICA All’inizio del nuovo Anno pastorale possiamo approfittare per una verifica sul nostro servizio a Dio e a i fratelli, all’interno delle nostre Comunità parrocchiali. E’ chiaro: in Parrocchia tutti sono tenuti a dare il proprio contributo secondo le possibilità e i doni ricevuti; è un impegno che deriva dall’iniziazione cristiana. Tutti dobbiamo attivarci per trasmettere la fede nella catechesi, celebrarla nella liturgia, mostrarla nella carità e solidarietà, questo però non perché abbiamo bisogno di essere gratificati, sentirci utili o perché abbiamo tempo da occupare. E’ dovere gratuito, compiuto con grande umiltà, lieti solo del privilegio di poter lavorare nella vigna del Signore e servire l’avvento del regno di Dio. La nostra ricompensa è il Signore. Il servizio di Chiesa è da purificare dal protagonismo, dalle gelosie... Nessuno può farsi padrone di nulla, sia pure di un vaso di fiori o un armadio. Ciò che è dato, in tempo, energie, intelligenza, è dato, non mi appartiene più e non deve portare il mio nome. Non è molto cristiano trovare in buona evidenza, sotto uno degli arredi per la liturgia, il nome di chi l’ha donato: “La tua destra non sappia ciò che fa la tua sinistra...” o anche; “Il più grande si faccia piccolo e servo”, come Gesù. Dovrebbe esserci tra noi cristiani la gara che c’era tra i due amici santi Basilio e Gregorio: “Quando ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale. Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice di invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo... E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani” (cf Lettura dell’Ufficio del 2 gennaio). I servizi nella Liturgia richiedono disponibilità e sono molti: ne parla anche l’introduzione al Messale Romano ai nn 58-73, in particolare: “I fedeli si dimostrino pronti a servire con gioia l’assemblea del popolo di Dio, ogni volta che sono pregati di prestare qualche servizio particolare nella celebrazione (cfr. n°62). Occorre dire che compiendo un qualche servizio ci si arricchisce molto personalmente, la Comunità si manifesta adorna dei doni che lo Spirito distribuisce a piene mani e si fa comunione nella diversità. E’ lo stile che deve rigorosamente essere quello del servo del Signore, badando sempre di essere Comunità aperta, avviando altri, lasciando il posto, pronti ad occupare quello che nessuno vorrebbe perché magari nascosto ma indispensabile. Che sarebbe la Messa parrocchiale della domenica se il coro non faticasse a prepararsi con adeguate prove di canto? Se qualcuno non pulisse la chiesa, non stirasse la tovaglia, non disponesse i fiori, non preparasse le preghiere, i lettori ecc.? L’animazione liturgica è servizio al sacerdozio del popolo di Dio; richiede competenza, preparazione, studio e, lo ripetiamo, tanto dispendio. Credere al potenziale evangelizzante dell’azione liturgica. In alcuni casi ha custodito la fede di interi popoli. Normalmente i fedeli non partecipano ad alcuna catechesi ma frequentano la Messa domenicale: è questa dunque una chance, una opportunità che abbiamo per istruire anche nella fede e nutrirla. Ecco perché sono importanti i ministeri, la competenza, lo svolgerli nel migliore dei modi. E’ opportuno verificare e rivedere il nostro celebrare nei contenuti e nella ritualità per una sempre più interiore partecipazione all’azione divina e umana, che è appunto la Liturgia. Quando diciamo Liturgia intendiamo appunto non cerimonie o rubriche ma l’attingere ed essere toccati dalla grazia salvifica del Signore. Liturgia sono appunto i sette sacramenti con al centro l’Eucaristia; la Liturgia delle Ore, l’Anno liturgico nel suo complesso, le benedizioni, la dedicazione di chiesa e altari, la consacrazione religiosa, il conferimento dei ministeri, funerali. Tutti gli altri esercizi di pietà sono poi modellati sulla Liturgia, attingono da essa e ad essa conducono. Occorre dire una verità: la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II non ha abolito altre forme di espressione della fede, né ha abolito le immagini. Il suo intento era di purificare tutte queste realtà, ravvivarle, renderle più autentiche, bibliche, robuste.... La Liturgia forma in noi una pietà cristiana forte e profonda, oggettiva, libera da pietismi, pseudomagie, sentimentalismi eccessivi, individualismi, essa è comunitaria: forma un popolo! È biblica, cristologica e, perciò, mariana: è filiale! Tende cioè a formare in noi il Figlio, poiché il Padre ci ha predestinati ad essergli conformi. Se ci sono dei rimproveri alla Liturgia anche da parte di eminenti personalità da cui non ce lo saremmo atteso, in questo anno in cui ricorre il 40° anniversario della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, occorre fare verità. Il problema è il vecchio che sta dentro di noi, è che non abbiamo investito in formazione teologica seria. La Liturgia non è un optional! Azione salvifica, ultimo momento della storia della salvezza che raggiunge l’uomo nell’azione rituale della Chiesa, realmente ed efficacemente. E’ vero che, in parte, lascia molto a desiderare oggi come oggi, specialmente per alcuni versi come il canto, la musica, l’omelia, il silenzio.., ma occorre essere onesti: sono stati aperti grandi tesori ai poveri! Riformata la Liturgia, occorre riformare le menti! Le quattro Costituzioni del Concilio Vaticano Il sono interconnesse e indispensabili l’una all’altra se si vuole essere fedeli a quel Concilio e allo Spirito Santo che guida la Chiesa; senza la Parola (cfr. Dei Verbum, la Costituzione sulla divina Rivelazione), nessuna Liturgia (cfr. Sacrosancturn Concilium); dalla Liturgia e nella Liturgia si forma, si autocomprende e si manifesta la Chiesa (cfr. Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa); la Chiesa è poi sempre dentro e in dialogo con il mondo (cfr. Gaudium et spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa e il mondo). Vanificare la Costituzione liturgica scardina un pilastro dell’edificio e dell’insegnamento conciliare. Il mistero di Dio è profondo, insondabile, occorre dire che Dio ha investito molto, ha grande fiducia e considerazione dell’uomo, gli chiede di elevarsi. La divina Liturgia promuove l’uomo molto più di ogni azione sociologica. All’inizio di un nuovo Anno pastorale occorre riprendere come binario della crescita nelle nostre comunità le indicazioni dei nostri vescovi italiani: la Parola e il Giorno del Signore. E’ una scelta previa, a supporto di ogni altra priorità pastorale sia che sia la famiglia, i giovani ecc. Iniziando un nuovo Anno pastorale c’è data l’opportunità di prendere in seria considerazione la formazione liturgica spendendo in tempo, intelligenza, energie... Con dolore, come un’infedeltà allo Spirito che ha guidato la Chiesa nel Concilio Vaticano II e la Riforma liturgica che ne è seguita, assistiamo, infatti, sempre più a insignificanza e sciatteria nelle celebrazioni o, al contrario, ad un altro tipo di abuso: l’eccessivo estetismo. Rubricismo da menti piccole, alla ricerca di una solennità tanto impeccabile quanto fredda e morta, lontana dalla vita della gente, non più valida, nostalgica. Non è pignoleria avere l’altare pulito e ordinato come la chiesa, come i paramenti e la persona del celebrante o dei ministri, come i fiori adatti o le sedie in ordine. Alcune volte neppure i lettori sono preparati, così l’omileta, e il pane e il vino sono, per così dire, soltanto simbolici…! Perché questi nostri peccati di omissione? Una risposta ci pare dì trovarla nel fatto che la Liturgia non è affatto comoda, se si entra in essa tutta la vita cambia, sì diventa come Gesù, figli tutti dati a Dio e mangiati dai fratelli! La Liturgia è il luogo teologico della gloria di Dio e della sua manifestazione, è il luogo della mia salvezza. Da una celebrazione liturgica esco dopo aver “visto” e “incontrato” il Risorto che promette e dà la vita eterna. La Liturgia è risposta ad ogni domanda di senso, in essa succede il… finimondo davvero, è l’inaudito, l’irruzione del cielo sulla terra: tocco il cielo! Dove vogliamo condurre l’assemblea del popolo di Dio che ci è affidata? Fissare l’obiettivo che in realtà è già intrinseco alla Liturgia: deificare, divinizzare, salvare l’uomo! Ma è raggiungibile con gradualità e perciò condurre alla consapevolezza, formare ed informare, istruire sul ruolo di protagonisti-patners di Dio, suoi interlocutori, capaci di rispondere alla sua iniziativa di misericordia e salvezza, senza stancarsi, a tempo opportuno e non opportuno! Far amare ciò che accade nella Liturgia: l’evento salvifico è Gesù Cristo stesso, amato e celebrato nei misteri della sua esistenza terrena che hanno arrecato a noi salvezza, perché è risorto. Siamo battezzati e cresimati per offrire la nostra esistenza nella Liturgia e vivere in comunione con Dio, siamo battezzati per morire come Cristo Gesù; se, dunque, dopo aver celebrato ad un rito Liturgico come l’Eucaristia, i fratelli ci “mangiano”, non possiamo lamentarci o tirarci indietro, Il rito impegna e compromette, non è bella rappresentazione teatrale che oltre ai godimento estetico può non lasciare altra traccia: esso ci trasforma o ci condanna. Spesso ci pare davvero che non comprendiamo il segno del pane e del vino nella nostra Eucaristia, che pure ci riguarda tanto. Penetrare il linguaggio simbolico senza l’aggiunta di simboli poveri inventati da noi è la necessità più urgente che tocca tutti, compresi particolarmente i presbiteri. Quante Parrocchie desiderano avere qualche membro della Comunità perché studi musica o canto, impari a scrivere icone, a leggere, a pregare, a fiorire la chiesa.., ad aver cura dell’edificio, della suppellettile o per essere un animatore pedagogicamente capace? Sulla formazione bisogna investire, altrimenti saremo sempre mediocri e non di rado vecchi e fuori del tempo. La catechesi deve tornare ad essere mistagogica, scriveva Giovanni Paolo II in una valutazione del Concilio; partire dalla Liturgia e condurre alla carità, altrimenti è dottrina e nozione che si è portati ad abbandonare appena possibile. La Liturgia è come la goccia che scava la pietra: torna ogni domenica, ogni giorno, più volte al giorno; accompagna tutte le età e le stagioni della vita sino alla sepoltura ed oltre. Con fiducia e coraggio riprendiamo dunque il cammino con lo sguardo fisso su Gesù e con lo sguardo sulle folle; i nostri cuori si commuovano per esse come accadeva a lui: ho compassione di questi uomini e donne, bambini e ragazzi, vecchi, sani, malati, con i quali vivo un tratto di storia e che spesso sono come pecore senza pastore, disperse e smarrite in giorni di caligine. Il Pastore ha solo il mio cuore e me per poterle radunare e nutrire, per quante sia anch’io uno strumento inadeguato e ferito, accolto dalla sua misericordia, con il privilegio di poter lavorare nella sua vigna e prendermi cura del suo gregge; siamo un poco tutti pastori a vario livello e responsabilità! Una particolare cura pastorale ci è richiesta per i giovani e per la famiglia, oggi ferita e sofferente per infedeltà e divisioni che ne lacerano l’esistenza. Nel luglio scorso, in un paesino della nostra Italia, le fedi degli sposi, in un matrimonio, furono recate dal cane di casa munito di un gran fiocco! L’episodio si commenta da sé e la dice lunga sulla consapevolezza di un sacramento! Il nostro incontro con Cristo Maestro nella Liturgia avviene in maniera simbolica cioè reale. attraverso l’esperienza rituale, Il rito ci accoglie, ci accompagna, ci conduce a realizzare quest’incontro; di qui usciamo inviati in missione ad operare la carità che dona contenuto e verità alla nostra celebrazione rituale. La carità ci fa somiglianti a Dio, tutto carità: è carità prendersi cura dei propri figli, lavare, stirare, preparare la tavola… E’ carità consumarsi nel lavoro della terra o altro, studiare per migliorare le condizioni dei fratelli, insegnare. scrivere… In tutto questo siamo segno per i fratelli di come Dio si prende cura di ciascuno di loro e, spendendo concretamente la vita professiamo che è stata realmente donata come quella di Gesù, proprio come abbiamo detto nel rito liturgico, che diversamente è vuoto e menzogna. Per affrontare bene l’Anno liturgico pastorale, occorre ricomporre un buon gruppo liturgico (GL), vario, ricco di diverse competenze, entusiasta e generoso, pieno di carità. *Confluiscono nelle competenze del GL, tre ambiti principali: la Parola di Dio con tutte le conseguenze (studio delle Scritture, Lectio divina, formazione dei lettori che diverranno i catechisti migliori; ricordiamo che un ministero liturgico deve avere sempre un risvolto di carità e servizio!). La musica e il canto è il secondo grosso ambito di impegno; il canto e la musica non solo danno solennità alle feste ma aiutano a cogliere il mistero celebrato e a farne l’esperienza coinvolgente. Un terzo ambito è la cura e l’attenzione allo spazio liturgico celebrativo dove possono entrare tutte le espressioni dell’arte: architettura, scultura, pittura, scrittura delle icone, decoro floreale, arredo... Non abbiate paura a divenire povere, disse tempo fa una signora a delle suore! Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio (cfr. Mc 10,17-30). La ricchezza non consiste soltanto nel denaro, questa è certo quella che tenta di più e la più facile, ma ci sono tante ricchezze fatte a volte di nulla, ma a cui si è molto, molto attaccati; sono le proprie idee, cultura, talenti, istruzione... Per essere discepoli di Gesù occorre farsi poveri, anzi, lasciarsi fare poveri! Lasciare tutto, tutto! Come Gesù che spogliò se stesso e si fece piccolo nel seno di Maria come piccolo era da sempre nel seno del Padre! La liturgia educa ad essere poveri, in essa infatti offriamo a Dio ciò che abbiamo di proprio nostro e abbiamo ricevuto da lui: il nostro corpo, quello che siamo, le nostre persone. Quando usciamo dall’Eucaristia domenicale noi non ci apparteniamo. Quanti di noi animatori e quante nostre assemblee sono consapevoli di ciò? Va da sé che s’impone con urgenza un serio lavoro anche su noi stessi, un serio confronto con Gesù! Nel cuore del cristiano i vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia. accidia, ci sono proprio tutti, nessuno ne è risparmiato. Occorre pertanto la preghiera, il lavoro su se stessi con una guida spirituale, l’obbedienza allo Spirito, il confrontare la nostra coscienza con quella filiale di Gesù, la fede nella forza salvifica dei sacramenti e il ricorso ad essi. Questo è vero culto, non i riti perfetti che pure ci vogliono perché sono segno-simbolo di tali atteggiamenti! Il GL ha pertanto un’intensa vita spirituale (= secondo lo Spirito, condotti dallo Spirito. nell’obbedienza allo Spirito Santo.., una vita filiale come quella del Figlio...). Fa questo per sé e poi aiuta i fratelli. Se ci si abbandona alla Liturgia, Cristo si forma gradatamente in noi, domenica dopo domenica. Chi si abbandona alla liturgia davvero non può più fare come vuole, si impone per lui di essere vero con coerenza e di fare la verità. Al termine della vita allora, Cristo, giudice misericordioso, guardandoci, vede se stesso in noi e il Padre vede la Trinità, ed entreremo nella gloria sua. DI DOMENICA IN DOMENICA. Siamo invitati tutti a dedicare particolare cura e attenzione alla riflessione sulla domenica come “giorno del Signore”, tema affrontato a più riprese negli ultimi vent’anni dalle Conferenze episcopali in Europa. Affinché la domenica sia di nuovo “il giorno del Signore” secondo il titolo della nota pastorale CEI (1984), non basterà soltanto curare meglio la Celebrazione eucaristica; è necessario tornare a “far festa nella letizia che viene dalla comunione con Dio”. La lettera apostolica di Giovanni Paolo II Dies Domini, del 31 maggio 1998, rimane tuttora un punto di riferimento essenziale per la riflessione sulla domenica, come pure la recente enciclica Ecclesia de Eucharistia in cui il papa sottolinea il valore della domenica cristiana e della relativa partecipazione alla Celebrazione eucaristica. Parrocchia, vita liturgica, giorno del Signore... sono poi realtà che non si possono separare. I nostri vescovi nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, al n° 47 affermano: “Ci sembra fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore, soltanto se custodirà la centralità della domenica, giorno fatto dal Signore, pasqua settimanale, con al centro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo - anche fisico - a cui la Comunità stessa fa costante riferimento. Ci sembra molto feconda ricuperare la centralità della parrocchia e rileggere la sua funzione storica concreta a partire dall’Eucaristia”. Senza la domenica, cioè senza Eucaristia la Chiesa non può esistere, il cristiano non si definisce. La domenica distingue i discepoli del Signore: Egli è la loro delizia, è la Pasqua e la Pentecoste settimanale.
LA PARROCCHIA: SPAZIO PRIVILEGIATO PER UN’ESPERIENZA LITURGICA MATURA Definizione e ruolo della parrocchia in prospettiva liturgica Negli anni settanta, in un periodo in cui la sempre crescente diffusione dei movimenti ecclesiali era definita “primavera dello Spirito”, la Parrocchia sembrava cedere il passo a nuove esperienze di vita ecclesiale sino ad essere considerata un’istituzione ormai superata, inutile e ingombrante. In questo medesimo frangente storico ed ecclesiale i vescovi italiani - in una nota della commissione mista vescovi-religiosi - proposero una definizione ricca, teologicamente e giuridicamente corretta e - perché no - entusiasmante, di questa preziosa cellula ecclesiale di base: “La parrocchia non è né una semplice circoscrizione ecclesiastica, né un fatto puramente amministrativo, ma una vera comunità cristiano-locale, che in un determinato luogo esprime e rende presente lo Chiesa universale. In essa, in comunione col vescovo, sono vitalmente inseriti i cristiani e si realizzano gli elementi essenziali che costituiscono la comunità di Cristo. La parrocchia infatti è il centro delle celebrazioni liturgiche e in modo particolare dell’Eucaristia, è il luogo della proclamazione della Parola di Dio e della sua testimonianza nella carità: in essa perciò è resa visibile la Chiesa, corpo di Cristo, per il compimento di ogni opera di bene, conforme ai carismi dei singoli fedeli. La parrocchia pertanto costituisce uno strumento importante e normalmente non sostituibile nella vita della Chiesa per alimentare concretamente la vita cristiana del popolo di Dio” (Enchiridion CEI 2/1977). Da questa definizione emerge un’immagine di comunità parrocchiale strutturata anche a partire dall’esperienza liturgica. Infatti, tutte le celebrazioni, e in particolare l’Eucaristia domenicale, qualificano inequivocabilmente la vita delle comunità parrocchiali. In effetti è da individuare proprio nel binomio parrocchia-messa domenicale la fortuna della proposta pastorale delta chiesa cattolica, in modo particolare - ancor oggi - nel contesto ecclesiale italiano. Tale binomio può essere semplificato in parrocchia-liturgia. IL binomio liturgia-parrocchia nel Concilio Vaticano II La bipolarità parrocchia-liturgia costituì, fin dai tempi del Concilio Vaticano II, un significativo ambito di riflessione. Infatti, la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia prese in considerazione il tema della vita liturgica non solo nella diocesi ma anche nella parrocchia. Negli articoli 41-42 di Sacrosanctum Concilium si legge: “Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, con vinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutta il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri. Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge, deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra. Per questo motivo la vita liturgica della parrocchia e il suo legame con il vescovo devono essere coltivati nell’animo e nell’azione dei fedeli e del clero; e bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale”. Maturità ecclesiale e maturità liturgica La parrocchia è quindi individuata come quello spazio ecclesiale privilegiato in cui la vita liturgica del popolo di Dio si manifesta nel modo più completo e maturo, sia da un punto di vista teologico che di prassi pastorale. Giustamente Romano Guardini, con espressioni che appaiono ancora oggi fortemente attuali - nonostante risalgano ad ottanta anni fa -‘ ammoniva: “Noi dobbiamo affermare la Chiesa, amarla, vivere in essa e operare là dove essa ci viene incontro in modo immediato: nella diocesi, nella comunità parrocchiale. Qui esiste per noi “la Chiesa”: sicuramente non separata né in qualche modo autonoma. L’inserimento organico nella Chiesa universale è piuttosto nel nostro stare nella parrocchia, nel nostro essere nella diocesi”. Questa citazione non è tratta, come potrebbe sembrare, da un saggio di ecclesiologia o di teologia pastorale, ma da un testo che ha come titolo “Formazione liturgica”. Per Guardini, infatti, la maturità liturgica passa per una maturità ecclesiale che prende corpo nel l’adesione alla vita di una comunità concreta, quale è la comunità parrocchiale, la sola capace di innescare dinamiche relazionali ed ecclesiali orientate verso una vita liturgica veramente matura: “La Liturgia è il comportamento religioso dell’umanità rinata. In essa la Chiesa sta di fronte a Dio e così l’individuo finché rimane membro della Chiesa; ma Chiesa e singolo si incontrano reciprocamente in modo vivo nella concreta comunità parrocchiale, con i suoi rapporti e compiti storicamente definiti”. La parrocchia, pur non essendo l’unico, è da concepire come lo spazio privilegiato e aperto ad ogni membro del popolo di Dio per crescere nell’adesione a Gesù Cristo attraverso la proclamazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti. La vita liturgica parrocchiale tra “formazione” e “azione” La vita liturgica parrocchiale si concretizza a partire da due versanti fondamentali individuabili nella formazione e nell’azione liturgica. Si tratta di due ambiti di cui la cellula ecclesiale di base, quale è la parrocchia, deve farsi carico, deve sentirli propri, affinché la vita liturgica sia centro unificante di tutta l’attività della comunità. La formazione consiste anzitutto in quel complesso impegno che la comunità cristiana pone in atto perché i suoi membri si configurino sempre più a Gesù. L’incontro con il mistero pasquale di Cristo attraverso la vita liturgica (parola, preghiera, sacramenti) è occasione formativa per eccellenza. E’ nella celebrazione - soprattutto dei sacramenti - che il cristiano vive un vero processo trasfigurante, divenendo sempre più “conforme” a Cristo per l’azione dello Spirito. La comunità parrocchiale è responsabile di questo processo formativo; è in essa, infatti, che si vivono i sacramenti e in particolare l’itinerario di iniziazione cristiana. Il ruolo mistagogico della parrocchia è un ruolo non delegabile. In essa il cristiano non solo vive un percorso di appropriazione intellettuale dei contenuti della fede e dei codici interpretativi degli eventi rituali, ma sperimenta la sua appartenenza alla Chiesa quale sacramento universale di salvezza, che nella Liturgia non solo è manifestato, ma esistenzialmente ed efficacemente attuato. L’impegno mistagogico e catechetico esercitato dalla parrocchia deve essere decisamente orientato alla piena realizzazione di questo progetto formativo. L’azione celebrativa tanto si mostrerà efficace, quanto più sarà preceduta, finalizzata, compresa e preparata da una corretta formazione. “La liturgia é azione della Chiesa. Ogni cristiano può offrire a Dio un culto personale e perfetto, ma solo la Chiesa può porre un gesto “liturgico”. […] Atto di comunione per eccellenza, l’atto liturgico è al tempo stesso espressione e sorgente di quella comunione di cui l’Eucaristia è culmine e fonte” (Sussidio teologico-pastorale Celebrare in spirito e verità, 115). Nella comunità parrocchiale tutto ciò prende consistenza. La vita liturgica parrocchiale diventa culmine e fonte di tutta l’attività comunitaria. La Chiesa non vive solo di Liturgia. Soprattutto nel suo determinarsi nel contesto della comunità parrocchiale, emerge una pluralità di servizi, di attenzioni e azioni orientate all’edificazione del popolo di Dio. In questa complessa attività la Liturgia occupa un posto centrale: ad essa tende la catechesi, e da essa trae origine la testimonianza della carità. |